La raccolta stagionale e la schiavitù
Raccolto rosso sangue
La raccolta stagionale di frutta, verdura e tabacco in Europa viene effettuata quasi al 100% da immigrati.
Di questi, alcuni sono con contratto, ma moltissimi altri lavorano in nero e comunque tutti sono soggetti a ogni tipo di sopruso. Nei 27 paesi della UE c’è una grande richiesta. Le cifre ancora non sono certe.
Con il Covid19 gli Stati dicevano che gli venivano a “mancare” circa 2 milioni di braccianti, ma non si sa quanti già fossero sul posto e nemmeno la quantità esatta del fabbisogno totale.
In questi mesi le frontiere erano chiuse per evitare il trasferimento di persone ed impedire possibili contagi.
Davanti all’emergenza agricola però e con il pericolo di perdita dei raccolti (secondo la Coldiretti soltanto le esportazioni europee di agroalimentari ammontano a 22 miliardi, senza contare il consumo interno), tutti i paesi europei, in un modo o nell’altro hanno fatto delle eccezioni e varato disposizioni speciali per l’arrivo di lavoratori “non infetti”.
Queste persone vengono da molti paesi: Marocco, India, Senegal, Tunisia, Pakistan, Algeria, Colombia ecc; ma la massa principale di lavoratori arriva dai paesi dell’Est.
Per questi cittadini l’anno 1990, con la caduta del muro di Berlino che inaugurava la fine dell’era comunista, è stato un punto di non ritorno. In sole due decadi hanno sofferto profondi cambiamenti economici, politici e sociali, che li hanno impoveriti e che hanno comportato grandi flussi migratori verso i paesi dell’Europa occidentale.
Come già scritto precedentemente, subiscono angherie di ogni tipo. A cominciare dal viaggio, che, per raggiungere il paese di lavoro, è pieno di ostacoli, specialmente se non hanno contratti ed entrano illegalmente.
A volte vengono fatti arrivare in camion chiusi senza passare controlli in dogana e contraendo già un debito per questo trasporto.
Quando giungono sul posto vengono alloggiati in luoghi inaccessibili, in edifici mezzo diroccati o in autentiche favelas, senza acqua, luce o servizi sanitari.
Molte volte le loro abitazioni vengono edificate utilizzando i teli di plastica dismessi dagli agricoltori, che sono sporchi, rotti e pieni di pesticidi. Inoltre, anche la poca acqua che hanno a disposizione spesso è contaminata da questi prodotti.
Si è venuto a sapere che in Germania la polizia rastrella questi lavoratori che camminano per le strade di ritorno al loro paese con soldi in contanti e gli abiti da lavoro, confisca loro il denaro e li denuncia per soggiorno illegale e lavoro nero.
Gli orari di lavoro sono estenuanti, al freddo oppure sotto il sole cocente, sotto la plastica con alte percentuali di umidità, in posizioni scomode o pericolose, senza nessun tipo di misure di sicurezza (figuriamoci quelle contro il Covid19).
Quelli più fortunati che hanno un contratto di lavoro presto scoprono che le condizioni in cui si svolge non sono proprio quelle sindacali, c’è un autentico caporalato che li sfrutta fino allo spasimo. Molto spesso la paga non è quella concordata, ci sono anche multe, punizioni, minacce di licenziamento, pestaggi e vessazioni di ogni tipo.
Quelli che sono in nero hanno ancora meno diritti e alla fine del lavoro rischiano di essere denunciati per ingresso illegale dallo stesso datore di lavoro, in modo da risparmiarsi i loro salari.
Il ruolo delle donne
Tra questi lavoratori si trova un elevato numero di donne, che oltre a tutti i disagi sopra indicati devono soffrire altre sopraffazioni per la loro condizione di femmine.
Spesso vengono quindi ricattate sessualmente per avere qualche beneficio o semplicemente meno problemi e sono abusate e violentate.
Molte donne, specialmente quelle che provengono dall’Africa sub-sahariana, hanno già sofferto abusi e violenze sessuali durante il viaggio da parte dei compagni di percorso, da membri delle forze di sicurezza marocchine, algerine o spagnole, da componenti delle reti di tratta o da delinquenti comuni.
Alcune vengono addirittura trascinate via con la forza ed obbligate a prostituirsi, rimanendo schiave di questa situazione. In questo contesto bisogna mettere in evidenza due situazioni particolari:
- Le raccoglitrici bulgare e albanesi di tabacco in Grecia
- Le raccoglitrici marocchine di fragole in Spagna.
Le prime lavorano nei campi dalle 2 alle 9/10 del mattino, poi siccome le foglie di tabacco devono essere messe ad asciugare, bisogna infilarle una a una in lunghe corde sottili, quindi
la loro giornata lavorativa è costituita da 8 ore di lavoro notturno e altre 5/6 di diurno e tutto questo per 15€ al giorno.
Inoltre di solito non hanno nessun tipo di alloggio e dormono nascoste nei campi di mais, mangiando qualche pezzo di pane e poco più.
La produzione annuale di tabacco in Grecia è di circa 35.000 tonnellate.
Le raccoglitrici marocchine di fragole, che in Spagna, muovono da sole 300 milioni di euro ogni anno, vengono messe sotto contratto direttamente nel loro paese; appartengano a un settore economicamente molto debole, sono sposate (con autorizzazione scritta del marito), divorziate o vedove, ma devono avere uno o più figli minori.
Quest’ultima è una condizione indispensabile. Avendo un legame con la famiglia, infatti, è sicuro che torneranno a casa e non rimarranno in Spagna alla fine della stagione.
Dicono di preferirle agli uomini perché si adattano meglio di loro, hanno le mani più delicate e anatomicamente resistono di più nella posizione accovacciata, non bevono alcol e rimangono volentieri sul luogo.
In realtà non dicono che oltre che essere più vulnerabili sono anche più facili da manipolare e da sfruttare. Sono inoltre le peggio pagate, prendendo meno di 40€ al giorno per sette ore di lavoro nei campi, in condizioni durissime sotto la plastica.
La loro, situazione però, può peggiorare fino all’inverosimile, come dover lavorare nel campo 10 ore senza rispetto dell’orario minimo per mangiare, senza giorni liberi, vedendosi negate il pagamento dello straordinario, vietando loro di bere acqua o abbandonare il posto di lavoro, dovendo fare i bisogni nel campo stesso, ecc.
Queste sono le conseguenze del capitalismo selvaggio in cui viviamo. In un paese veramente comunista queste cose non succederebbero. I lavoratori sarebbero tutelati ed avrebbero diritto a un lavoro giusto e dignitoso, un’ educazione e una sanità gratuita per tutti e una casa dove le famiglie possano crescere i loro figli in un ambiente sereno.
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