Un tema di assoluta importanza per i Comunisti è la difesa dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici. I governi borghesi non forniscono nessuna soluzione al problema e si limitano ad accordi non vincolanti o a generiche buone intenzioni.
Ad esempio il famoso accordo di Parigi di fatto non è vincolante [1], mentre il “Green Deal”, promosso dall’Unione Europea, offre finanziamenti ai privati per cercare, grazie al denaro pubblico, di limitare l’impatto ambientale delle loro attività [2], tentando di rilanciare il profitto dei capitalisti a spese della collettività, non di certo una soluzione concreta.
L’approccio e la soluzione proposta dai comunisti a questo grave problema è chiara: togliere l’orizzonte del profitto, gli sprechi e le irrazionalità tipiche del capitalismo, della sua anarchia produttiva e del suo consumismo compulsivo (pensiamo ad Amazon che distrugge milioni di articoli invenduti solo in Gran Bretagna [3]). La visione deve essere di insieme e di sistema.
Qual è il problema?
Il problema principale è il riscaldamento globale che è causato dalle emissioni di gas serra. E’ importante distinguere i gas serra dalle emissioni inquinanti: i gas serra, se emessi in grande quantità, si concentrano nell’atmosfera e trattengono le radiazioni solari riflesse dal pianeta causando “l’effetto serra”.
Il principale di questi gas è l’anidride carbonica (diossido di carbonio). Questo gas non è né tossico né dannoso di per sé, ma se si aggiungono eccessive emissioni derivate da attività umane a quelle dei normali processi ambientali, iniziano i problemi.
Questo tipo di emissioni ha un impatto globale sul pianeta indipendentemente da dove vengano emesse.
Le emissioni inquinanti sono invece tossiche e dannose per l’uomo, possono causare danni respiratori o tumori ed hanno effetti dannosi sull’ambiente localmente dove sono emesse.
(Es. ossidi di azoto, monossido di carbonio e idrocarburi incombusti). Non verranno trattate nel dettaglio in questo testo.
Per quanto riguarda il riscaldamento globale l’obiettivo degli accordi di Parigi è di contenere l’aumento di temperatura entro i 2 gradi celsius e il più vicino possibile a 1.5, attraverso una riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030.
L’orizzonte è di avvicinarsi il più possibile alla neutralità carbonica: ovvero emettere una quantità di anidride carbonica che possa essere assorbita o dissipata dall’ambiente.
Questo riesce, grazie alla vegetazione, agli oceani e ai suoli, a trattenere o dissipare tra le 9.5 e le 11 Gigatonnellate di CO2 all’anno, a fronte delle 43 Gigatonnellate (2019) [4] emesse attualmente.
Le sorgenti di emissioni, per settore produttivo a livello globale, sono rappresentate nel grafico sotto:
La produzione di energia domina con il 73,2% di cui il 24,2% ad uso industriale (a cui si aggiunge un ulteriore 5,2% dei processi industriali diretti), il 17,5% per edifici (6,6% commerciali e 10,9% civili), ed il 16,2 % per i trasporti (ecc..).
Proporzioni simili, si ripetono in Europa ed in Italia [5] con addirittura un impatto maggiore del settore energetico. Per ridurre considerevolmente le emissioni di gas serra è fondamentale l’intervento sull’energia, che non sia inteso come schiacciamento verso il basso delle condizioni di vita delle masse. Ecco 3 punti chiave:
La pianificazione economica
Produrre beni per soddisfare necessità sociali consente di ridurre al minimo gli sprechi, di mirare alla massima longevità dei prodotti ed evitare, come accade oggi grazie all’obsolescenza programmata (ovvero la produzione di oggetti fatti ad arte perché si rompano o vadano fuori servizio dopo un certo periodo di utilizzo), di doverli ricomprare e quindi riprodurre da zero regolarmente.
Il potenziamento delle riparazioni e della produzione di pezzi di ricambio, costantemente sabotata dalle aziende produttrici, è correlato al punto precedente.
Il dispendio energetico è senza dubbio minore per la produzione di un componente rispetto alla produzione di un prodotto completo.
Eventuali miglioramenti tecnologici devono essere rilevanti per giustificare una nuova produzione (e non spinti per fini consumistici) e dove possibile devono poter essere installati nel prodotto già esistente.
Questo è l’esatto contrario della logica del capitalismo, secondo la quale i produttori di – ad esempio – software causano di proposito malfunzionamenti costringendo gli acquirenti a comprare un modello nuovo [6].
Così si diminuirebbe anche la produzione di rifiuti che, nonostante il loro smaltimento pesi relativamente poco sulle emissioni di gas serra (3,2% a livello mondiale), incide pesantemente sulla salute e sull’ambiente, causando emissioni di gas inquinanti e inquinamento del suolo e del mare.
La pianificazione consente la creazione di filiere produttive stabilendo dove produrre: con una equilibrata redistribuzione della produzione sul territorio, si ridurrebbero gli spostamenti dei prodotti a distanze medio-brevi, risparmiando i pesanti consumi energetici per i trasporti a lunga distanza che, si limiterebbero, a quelle materie prime o produzioni impossibili da reperire o replicare in altre aree del mondo.
Il contrario di quello che avviene oggi, in Italia e nel mondo, dove i prodotti si spostano seguendo i profitti, e ci si ritrova ad esportare in paesi lontani per poi importare lo stesso prodotto (o componente per l’assemblaggio) da paesi altrettanto lontani causando movimenti che invece potrebbero essere limitati ai reali scambi utili.
Al contrario scambiare idee e competenze favorirebbe che si possa produrre, dove possibile, il necessario in diverse aree del mondo, con grande beneficio oltre che per l’ambiente, anche per i popoli che potranno modulare meglio la produzione secondo i bisogni locali.
In sintesi una razionalizzazione produttiva diminuirebbe notevolmente le emissioni causate dal consumo energetico, dal trasporto merci su strada, aereo e anche marittimo, le cui emissioni spesso risultano “non attribuite” vista la volatilità del sistema delle bandiere [7] .
Un grande potenziamento dei trasporti pubblici garantirebbe un uso ridotto dei mezzi privati con una conseguente diminuzione delle emissioni legate al trasporto di persone.
Le fonti di produzione energetica
Il problema è complesso e si può risolvere solo in combinazione con la pianificazione.
Le fonti energetiche fossili sono di certo le più impattanti per l’ambiente ed il loro uso deve essere enormemente ridimensionato.
Il problema delle fonti rinnovabili, oltre la loro incapacità ad oggi di poter coprire l’intero fabbisogno energetico, è che al momento dipendono anch’esse da energie non rinnovabili (ad eccezione dell’energia idroelettrica): per produrre pannelli solari e pale eoliche (materie prime, trasporto merci, manifattura) si fa un largo utilizzo di energie fossili quindi queste non sono del tutto “verdi”.
Con le tecnologie odierne, un impianto fotovoltaico ha una vita media di 15 anni e impiega dai 3 ai 6 anni per restituire l’energia utilizzata per costruirlo, questo senza contare l’energia necessaria per manutenzione e smaltimento.
La questione è simile a quella delle auto elettriche: non inquinano direttamente, ma se l’energia che le alimenta e che si usa per produzione e smaltimento di batterie e materie prime, proviene da fonti inquinanti, il problema non è risolto, si cambia solo sorgente di emissione.
Questo è “l’ambientalismo” di alcuni settori borghesi che promuovono consumo “ecologico” occultando gli effetti inquinanti del ciclo produttivo.
Parlando di energia va tenuto a mente il fattore EROEI (energy returned on energy invested) che è il rapporto tra l’energia ricavata da una determinata fonte e quella utilizzata per ottenere quell’energia (produzione mantenimento, smaltimento ecc..).
Più l’EROEI è alto più il sistema è efficiente. La fonte con la maggiore efficienza e minore impatto ambientale è l’idroelettrico che però non è replicabile ovunque, dato che ha bisogno di grossi “salti” di acqua al momento già tutti utilizzati in Italia e non facilmente reperibili in generale [8] [9].
Il nucleare è una fonte che ha una grande efficienza, non causa emissioni ma ha il grosso problema dello smaltimento delle scorie di produzione.
La questione è molto complessa e la migliore soluzione tecnica è difficile da trovare, solo degli studi e degli esperti potranno aiutare a risolvere il problema.
Di certo l’ostacolo più grande per trovare la giusta combinazione tra fonti energetiche è l’interesse privato che riduce la questione energetica ad una lotta per i profitti e per la conquista dei mercati che si tratti di fonti fossili o rinnovabili.
La questione energetica è al centro delle principali manovre dell’imperialismo sia per la sottomissione ed il controllo diretto delle materie prime sia per indirizzare e forzare le politiche energetiche ed il mercato energetico a favore delle principali multinazionali.
Gli esempi sono tantissimi (Sud America, Africa, medio Oriente, pressioni sulla Russia) e difficilmente riassumibili in un articolo.
La nazionalizzazione del settore energetico è quindi fondamentale per una pianificazione efficace. Inoltre tolto l’orizzonte del profitto, maggiori risorse potrebbero essere destinate ad un avanzamento scientifico funzionale alla salvaguardia dell’ambiente.
Disuguaglianze e questione ambientale
La classe dominante accusa la classe lavoratrice con spocchioso moralismo di causare il disastro ambientale con i suoi comportamenti individuali. Tutto per nascondere le proprie responsabilità.
Si stima ci siano più di 20.000 aerei privati nel mondo con milioni di voli effettuati ogni anno (128.000 solo tra Regno Unito ed altri paesi europei nel 2018) [10], chi li usa non potrebbe volare come i comuni mortali con i voli di linea? Per un volo di 2 ore parliamo di 860 kg di Co2 emesse per persona contro 108 in media per un volo di linea [11].
C’è addirittura chi usa aerei privati per il proprio gatto [12]. Una Aston Martin (per fare un esempio di auto di lusso) emette in media 315 g/Km di C02 (inutilmente visto che le prestazioni della macchina non possono essere utilizzate su strada per motivi di sicurezza), mentre una Panda (per fare un esempio di un’utilitaria) ne emette 89 g/Km.
L’1% più ricco della popolazione genera il doppio delle emissioni del 50% più povero a livello globale, con picchi che variano da paese a paese (nel Regno Unito ad esempio l’1% genera 11 volte le emissioni del 50% più povero), collegate a voli privati, auto di lusso, yachts e consumi energetici per case extralusso[13].
Lor signori rinunceranno a questo lusso privo di utilità sociale o continueranno a chiedere sacrifici al popolo? Le emissioni possono essere ridotte senza una compressione dello stile di vita delle masse, ma anzi con un suo miglioramento.
Le rinunce le faccia chi inquina per profitto e per vivere nel lusso sfrenato, non di certo i lavoratori che aspirano ad una appagante vita materiale e intellettuale.
Protezione dell’ambiente nei paesi socialisti
La questione delle emissioni per persona è fondamentale per sfatare il falso mito sugli stati accusati di essere i peggiori inquinatori, ad esempio la Cina è solo il 47esimo paese del mondo per emissioni pro capite, e si inserisce nella fascia tra 5 e 7.5 tonnellate per persona, come l’Italia (per avere un esempio) e ben al di sotto degli Stati Uniti (16 Tonnellate per persona) e di tanti altri paesi [14].
(Inoltre l’esercito degli Stati Uniti, con le sue manovre e i suoi spostamenti su tutto il pianeta, se fosse uno stato sarebbe il 55 esimo per emissioni [15].)
La tutela dell’ambiente e della salute è storicamente parte delle politiche dei paesi socialisti in quanto nell’interesse collettivo dei lavoratori:
- l’Unione Sovietica nel 1948 vantava il 65% delle pubblicazioni scientifiche sull’inquinamento dell’aria a livello mondiale, inoltre fu il primo paese ad introdurre una legge contro l’inquinamento “misure di lotta all’inquinamento atmosferico e miglioramento delle condizioni igienico sanitarie delle aree abitate” nel 1949 [16].
Dagli anni 70 parametri ecologici furono inseriti all’interno dei piani quinquennali, e alla sua caduta, emetteva il 22% in meno in assoluto degli USA nonostante una popolazione maggiore [17].
- La repubblica popolare democratica di Corea è in linea con gli obiettivi concordati alla convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992 (e nella sua estensione del 1997, il protocollo di Kyoto) come è costretto ad ammettere anche il giornale “The Guardian” nonostante i toni denigratori usati nell’articolo [18].
- A Cuba l’articolo 27 della costituzione cubana recita: “Lo Stato protegge l’ambiente e le risorse naturali del paese. Riconosce lo stretto vincolo tra la protezione dell’ambiente e lo sviluppo economico e sociale sostenibile per rendere più razionale la vita umana e garantire la sopravvivenza delle generazioni presenti e future […]”.
- La Cina pianifica di ridurre le emissioni del 60% entro il 2030 e mantenendo il controllo e riducendo fino alla scomparsa il ruolo del mercato nella vita del paese, senza dubbio ci riuscirà [19]. Nel precedente piano quinquennale e nel corrente, tra i vari obbiettivi, è centrale la riforestazione (grazie alla quale si assorbono emissioni) e il recupero delle aree desertiche [20].
- Il Vietnam è stato il miglior paese nel rapporto tra qualità della vita e sostenibilità ambientale secondo uno studio dell’università di Leeds che includeva 151 paesi. Anche qua i futuri successi dipenderanno dalla vittoria della pianificazione sul mercato [21].
Nonostante la narrazione delle classi dominanti cerchi un capro espiatorio tra i comportamenti individuali o alcuni specifici materiali e prodotti presentandoli come il male assoluto, la responsabilità del disastro ambientale non ricade di certo sullo stile di vita della stragrande maggioranza della popolazione mondiale.
I comunisti non vogliono certo un ritorno all’età della pietra ma vogliono un utilizzo razionale delle risorse e del progresso scientifico che concili benessere collettivo e tutela dell’ambiente. Come sappiamo, qualsiasi attività umana, anche le più insospettabili, (pensiamo ad internet e all’energia utilizzata per mantenerlo in funzione, per inviare una mail o un messaggio e per conservare gli immensi archivi) ha un certo impatto ambientale. Una semplice sostituzione di un processo produttivo (o di una sua parte) con un altro, non risolve il problema.
Esistono certamente delle buone abitudini che si possono seguire nella vita di tutti i giorni per evitare sprechi e per proteggere il territorio in cui viviamo, ma queste perdono ogni senso se non sono parte di un sistema economico-produttivo, gestito nell’interesse collettivo che combini le necessità produttive con la tutela ambientale.
Perciò è fondamentale la lotta contro il capitalismo, l’imperialismo e le disuguaglianze che produce. Il passaggio ad un’economia socialista pianificata garantirebbe benessere materiale collettivo e allo stesso tempo la tutela dell’ambiente, la cui salvaguardia è necessità concreta per la sopravvivenza del genere umano e interesse immediato per la classe lavoratrice, la prima ad essere colpita da eventuali catastrofi.
In poche parole la responsabilità è del capitalismo e la soluzione è nel socialismo.
FONTI:
[1] https://www.un.org/sustainabledevelopment/blog/2016/09/the-paris-agreement-faqs/
[2] https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_en
[6] https://www.bbc.co.uk/news/technology-51413724
[7] https://unctad.org/news/qa-shipping-and-environment
[8] https://www.youtube.com/watch?v=VTtMdKzQn48
[9] https://www.ipannellifotovoltaici.com/pannelli_fotovoltaici_come_funzionano.htm
[13] https://oxfamilibrary.openrepository.com/bitstream/handle/10546/621052/mb-confronting-carbon-inequality-210920-en.pdf ) https://www.ethicsandinternationalaffairs.org/2020/a-luxury-carbon-tax-to-address-climate-change-and-inequality-not-all-carbon-is-created-equal/
[14] https://ourworldindata.org/per-capita-co2
[16] “Comparative Environmental Regulation in the United States and Russia” Lada V. Kotcheeva.
[17] “New data on air pollution in the former Soviet Union” M.Shahgedanova/Timothy Burt
[18] “North Korea an unlikely champion in the fight against climate change” Benjamin Habib (The Guardian)
[20] http://en.people.cn/n3/2021/0319/c90000-9830556.html
[21] https://southeastasiaglobe.com/why-vietnam-ranks-best-in-world-for-living-greener-and-better/