Femminismo non è un hobby!
Il clicktivismo femminista è solo hobby da poltrona!
Le femministe professioniste del click democratico o del taglio della ciocca di capelli sono solo esseri-umani-in-quanto-servizio. Con il pretesto di dimostrare che si impegnano politicamente, le attiviste digitali consentono di lasciarsi ridurre ad essere un umano-servizializzato che migliora gli algoritmi e nutre i Big Data. La loro è semmai solo trasmissione passiva. I like trasformano in gioco divertente e ultraveloce l’impegno politico con un’interfaccia numerica. Magari cliccano per segnalare il proprio accordo (o disaccordo) per un evento o un fatto sociale e si sentono in pace con la propria coscienza e verso la società. Però, un semplice like a un breve video di taglio di ciocca non è neanche un passo verso un cambiamento per una società migliore e rimane nella sfera superficiale del click seppur virale.
Il 5 ottobre 2022, con #HairforFreedom, appaiono filmini di una cinquantina di avvocate e artiste francesi: si tagliano ciocche di capelli per sostenere le iraniane che manifestano fin dalla scomparsa di Mahsa Amini. Questa giovane iraniana sarebbe morta a causa delle ferite inferte nei locali della polizia per il motivo che non avrebbe avuto il vestito adatto. Però, tale violenza non era accertata. Passata la solidarietà capelluta, cosa fanno di concreto?
Donna-Vita-Libertà è il titolo di una petizione su Change.org che cerca di raccogliere più firme perché le istituzioni internazionali intervengano in modo drastico contro la soppressione delle libertà in Iran e le violenze. È anche il titolo di un flashmob che si voleva virale. In realtà, è uno slogan apparso nel movimento di liberazione curdo (Iran, Iraq, Turchia e Siria) alla fine del XX secolo e che divenne popolare grazie agli scritti anticapitalistici e antipatriarcali di Öcalan, capo del PKK e poi anche usato dalle curde nella guerra contro l’ISIS. Ed ora è uno slogan usato anche da qualche partito che si autoproclama democratico. Sarebbe opportuno ben conoscere la storia di uno slogan al fine di non indurre le influencer come i followers a traviarlo.
In un altro campo, le attiviste ambientaliste (insieme ad attivisti) che hanno imbrattato varie opere d’arte con la zuppa o il finto sangue diffondono con video la loro protesta da museo. Ottengono di certo la visibilità ma solo il tempo della diffusione. Chi si ricorda il nome del loro movimento o le proposte politiche concrete che fanno per salvare il pianeta? Perché non vanno ad imbrattare direttamente le multinazionali responsabili del 70% dell’inquinamento del pianeta?
È un’assoluta emergenza affrontare i problemi delle donne nel mondo andando molto oltre il click sempre e solo subito seguito dall’oblio:
- Secondo l’ONU, le donne hanno il 75% dei diritti in meno. Il 72% delle vittime di tratta a livello globale sono donne e bambine. La prostituzione è la forma più diffusa di sfruttamento: le donne sono vittime di sfruttamento sessuale nel 77% dei casi e di sfruttamento lavorativo nel 14% dei casi. Il resto riguarda altri traffici illeciti.
- Secondo l’OSCE, sono aumentate del 600% le ricerche su Internet di servizi sessuali o di pornografia di donne e minori ucraini e sono anche aumentati i casi di traffico di esseri umani che coinvolgono donne incinte.
- Secondo Oxfam 2021, le donne rappresentano il 61% delle persone più povere. Fanno più del 75% del lavoro domestico non retribuito. Più del 66% delle donne sono analfabete. Più del 33% delle donne hanno subito violenze fisiche e/o sessuali nella loro vita. L’80% delle persone che si spostano per motivi climatici sono ragazze e donne. Le donne rappresentano il 50% della manodopera agricola nei paesi in via di sviluppo ma solo il 13% possiede la terra coltivata.
- Secondo la Banca Mondiale, 2.4 miliardi di donne non hanno gli stessi diritti economici degli uomini.
Questi movimenti clicktivisti fanno solo gesti vuoti e servono solo per sostituire la lotta vera. È come contare i femminicidi senza mettere in campo soluzioni concrete. La militanza non è affatto una comodità, non si fa con i guanti bianchi, militare non è conformarsi alla realizzazione di un’attività martellata da una o più piattaforme sociali (“Connettiti… Clicca qui… Metti un like…”). Così, si sostituisce la speranza di un mondo migliore per tutti con le illusioni del click facile e poco riflessivo. Più il tempo e le idee sono frazionate con l’uso del computer, più queste donne sono in ipervigilanza quasi permanente e si tagliano fuori dal proprio corpo isolandosi dagli altri. Sono così in un ragionamento disincarnato che non è più il pensiero politico. Una donna iperconnessa a tutto e tutti non ha un vero legame sociale con nessuno. Una donna che crede di usare una tecnologia ideologicamente neutrale (mentre veicola solo disinformazione, parzialità e ultraconformismo all’ideologia neoliberista) sbaglia totalmente e si confa al femminismo 2.0, quello intersezionale che si occupa superficialmente di identità di genere, discriminazioni, violenze, sessualità fluida. Tali femministe saranno forti nella comunicazione social perché conta solo il numero di followers: sono a favore del DDL Zan perché proteggerebbe tutte le persone discriminate, sono a favore della pagina ‘donnexstrada’ che permette di affrontare il rientro a casa con un accompagnamento… online! Sono solo racconti apparentemente ribelli. Ma hanno davvero contribuito a migliorare la vita quotidiana di tutte e di tutti con un progetto politico che si rivolge a tutta la società? Hanno davvero lottato contro “il precariato, la disoccupazione e tutte le complicanze vitali ed esistenziali” delle donne (cf articolo della Riscossa dell’11 dicembre 2022 intitolato La lotta di lagne)
Il femminismo è stato recuperato dal politically correct : ad esempio, bisogna dichiararsi ecofemministe sulla scia delle gretine e dei gretini. Non mette in discussione il sistema capitalista, ma fa avanti rivendicazioni prettamente individualistiche che non intaccano il sistema, anzi lo rafforzano come fa la Green Economy ed assicura il potere a chi comanda già ossia la borghesia finanziaria; in questo contesto, tali femministe mainstream ricercano solo l’uguaglianza delle opportunità di dominare. Questo femminismo egemonico è lontanissimo dal marxismo poiché si è distaccato dalla giustizia sociale per tutti, donne e lavoratori. Si possono usare le parole di Alessandra Kollontai scritte in occasione del giorno della Donna nel 1913 per adattarle alla situazione del 2023:
« C’è anche una enorme contraddizione tra gli interessi della lavoratrice e quelli della signora [dell’influencer] , della serva e della padrona [della cacciatrice di followers]… Non c’è e non può esserci alcun punto di contatto, convergenza o conciliazione. […] Ogni speciale, distinta forma di lavoro tra le donne della classe lavoratrice è semplicemente un modo per aumentare la coscienza delle lavoratrici e avvicinarle alle fila di quelli che combattono per un futuro migliore. Il Giorno della donna e il lento, meticoloso lavoro condotto per elevare l’auto-coscienza della donna lavoratrice, stanno servendo la causa non della divisione, quanto dell’unione della classe operaia. […] »
Noi comuniste e comunisti della Federazione Estero Enrico Olivetti non siamo influencer in cerca di followers per fare profitto, conosciamo la potenza della Rete egemonicamente neoliberista, usiamo pure noi i like ed i commenti ma anche gli articoli che scriviamo e pubblichiamo sul nostro sito, le foto e i video delle nostre partecipazioni ad eventi in presenza che riguardano l’Italia o l’internazionalismo, le riunioni online poiché non abbiamo una sede fisica e i video per curare la formazione di tutti. Siamo a favore del lavoro quotidiano e sistematico della militanza concreta che permette il confronto costruttivo. La lotta teorica, politica ed organizzativa del Partito Comunista è incessante perché le proletarie e i proletari siano armati al fine di unirsi nella lotta di classe.
Donne e lavoratori, lotte solidali!