
Aborto, il diritto negato
Ostruzionismo all’aborto
Il diritto negato alle donne in Italia
Per la ricorrenza della ‘Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne’, la Commissione Donne del Partito Comunista Federazione Estero vorrebbe parlare di violenza anche come restrizione, il venire meno della libera scelta rispetto alla propria vita e al proprio corpo.
La questione dell’aborto é un esempio lampante di come il diritto di scelta per una donna conta ben poco all’interno dell’attuale ambito sociale, nel quale l’obiezione di un medico ha molto piú peso della volontà di una donna di poter decidere del suo futuro, o del suo benestare fisico e psicologico. Secondo il sito web dell’ANSA, infatti, all’interno degli ospedali e centri medici in Italia, il 70% dei medici sono obiettori di coscienza, ben 7 su 10, per non parlare delle regioni in cui si riscontrano percentuali anche maggiori, come per esempio Lazio (85,6%), Basilicata (84,1%) Campania (83,9%), Sicilia (83, 5%) e Molise (82,8%). Si può dedurre da queste percentuali, come anche constatato dall’ ANSA, che la situazione in Italia è, se non in teoria, in pratica, paragonabile a quei paesi in cui l’aborto è illegale (Irlanda o Polonia, per esempio). Inoltre, secondo studi di diritto, nonostante la legge preveda che nei casi di obiezione di coscienza da parte del medico, vige il dovere per le unità sanitarie di predisporre di elenchi di medici non obiettori, quest’obligo non viene adempito: su una mappa multimediale creata dall’associazione ‘Non Una Di Meno’ emergono testimonianze di donne alle quali, dopo essersi rivolte ad un medico obiettore, non solo viene rifiutato il procedimento all’aborto, ma non viene neanche assegnato o indicato un altro medico non obiettore, o addirittura casi in cui le pazienti vengono bersagliate e giudicate, e casi di ostruzionismo malnascosto.
Nonostante l’Italia sia un paese laico, chiaramente, il problema non è che venga tutelato il diritto all’obiezione per un gruppo ristretto di medici, ma che questo diritto di obiezione sopravvalga al diritto delle donne di avere potere decisionale sul proprio corpo e sulla prospettiva di essere madri. Il numero di obiettori non deve assolutamente essere talmente alto da impedire l’accesso ai trattamenti abortivi, perché in tal caso, i diritti della donna diventano subordinati al volere del medico, cosa che avviene in Italia, dove una cura medica che dovrebbe costituire un diritto diventa invece impossibilità per moltissime donne. Da questa situazione si può dedurre quanta strada hanno ancora da fare i diritti delle donne in Italia. Considerando che nell’URSS già nel 1920, l’aborto fu completamente legalizzato proprio per salvaguardare la sicurezza di quelle donne che altrimenti avrebbero avuto ricorso a cliniche illegali, appare ancora più incomprensibile questa mancanza all’interno di un paese che si vanta di essere democratico. D’altra parte, questo discorso ricorda anche il caso degli USA nei quali recentemente è stata abolita la legge che garantiva il diritto all’aborto (mentre a Cuba, altro paese comunista, l’aborto è non solo legale ma anche gratuito).
La Presidente del Consiglio di recente ha affermato di voler applicare la legge 194 nella sua interità, cioè proteggere anche il diritto delle donne a non abortire, poiché secondo lei, questo diritto in Italia già esiste. I fatti dimostrano che, in realtà, esso esiste solo su carta, e basta guardare le percentuali di obiettori per comprenderlo. Giorgia Meloni vorrebbe provvedere un assegno in aiuto alle donne che vorrebbero essere madri ma non possono permetterselo, come ‘prevenzione’ all’aborto. Chiaramente, è dovere dello Stato provvedere per far sì che ogni donna possa scegliere di avere figli senza dover combattere contro la minaccia della povertà. Ma quest’assegno è una magra consolazione, una beffa, perché non potrà cambiare una situazione sociale e lavorativa caratterizzata dal divario salariale, la relegazione dei lavori piú precari e a tempo parziale alle donne. Insomma, un assegno non cambierà certo molto per quelle donne che, per esempio, non sanno tra un anno quale sarà la loro situazione lavorativa, o che addirittura rischiano di perdere il lavoro a causa della gravidanza. Dunque la premier farebbe bene intanto a guardare i numeri e rendersi conto che di fatto il diritto all’aborto non è garantito ad ogni donna, e poi, per la prevenzione di aborti per motivi economici, a concentrarsi sulla garanzia di un salario e di un lavoro dignitoso per tutte le donne (e tutti gli uomini).